domenica 19 aprile 2009
BANCHE A MEZZOGIORNO
BANCHE A MEZZOGIORNO
di Raffaele Bruno (Vice Segretario Nazionale Vicaro MIS con
Rauti)
Il fenomeno più rilevante della patologia bancaria nel
nostro Paese è rappresentato dalla crisi delle banche
meridionali, che ha riguardato sia i maggiori istituti
pubblici che banche private di ridotte dimensioni, assumendo
vere e proprie caratteristiche di instabilità sistematica.
Questa analisi, che ebbi modo di illustrare nella mia
qualità di Vice Segretario Nazionale Vicario e
responsabile del Dipartimento per le Politiche Meridionali
del Movimento Idea Sociale, in un convegno sul tema :
"Banche e Mezzogiorno", organizzato dal Banco di Napoli
e dall'Unione Industriali della Campania, trova purtroppo
conferma nel numero di provvedimenti di amministrazione
straordinaria e di liquidazione coatta relativi a banche con
sede nelle regioni del Sud.
La ricollocazione della proprietà avvenuta negli ultimi
anni a vantaggio di aziende con sede legale nel Centro Nord
sta avendo effetti devastanti sul tessuto economico e
sociale del Mezzogiorno, poiché le banche gestite da
centri decisionali non locali hanno aumentato la loro
avversione a dare fidi a imprese e a dare una mano chi è
in difficoltà.
Oggi le banche del Sud gestite dal Nord praticano tassi
già di per se da usurai e addirittura di tre quattro punti
superiori a quanto si pratica nelle regioni settentrionali.
Vale a dire che un imprenditore che chiede un aiuto
economico ad una banca, a pari condizioni, paga fino a
cinque punti in più di tasso di interessi rispetto ad un
imprenditore del Centro Nord. Tutte le banche comandate dal
Nord hanno poi il compito specifico di rastrellare i
risparmi dei meridionali per poi investirli nelle regioni
del Centro Nord, con il risultato che il Sud diventa sempre
più povero e gli imprenditori meridionali hanno sempre
meno possibilità di essere aiutati dalle banche.
Certo, fare banca al Sud significa confrontarsi, da un lato,
con una realtà imprenditoriale a più alta rischiosità,
carattere a sua volta originato, a parità di altre
condizioni, dall'incapacità cronica dello Stato e degli
Enti Locali di offrire in modo efficace i beni pubblici
primari: tutela dei diritti della persona e della
proprietà, autentici catalizzatori del lievito
dell'economia di mercato, rappresentato dalla fiducia.
L'assenza della miglior miscela tra regole e
fiduciarappresenta la più grave carenza con cui devono
confrontarsi banche e imprese del Mezzogiorno, e rispetto
alle quali la parte migliore dei ceti produttivi poco può.
Il Mezzogiorno ha patito per decenni i costi economici e
sociali di una sorta di tacito "patto scellerato" che
negli scorsi decenni ha legato il triangolo politica –
impresa – banca nella reciproca protezione delle
rispettive rendite di posizione.
L'intreccio tra politica, banca, impresa, famiglia e
istituzioni di controllo è rimarchevole. In generale, la
grande politica affaristica ha disegnato regole del gioco
che indirizzavano le risorse verso usi pubblici e privati
economicamente improduttivi, ma elettoralmente vantaggiosi.
Tante imprese collegate ad affaristi, malavita e banchieri
senza scrupoli asserviti alla politica traevano vantaggio da
quell'intreccio, che definiva mercati e settori poco
competitivi.
L'inefficacia delle istituzioni pubbliche – tempi e modi
della burocrazia e della giustizia in testa – hanno
completato il quadro, in cui rendite politiche e
professionali hanno finito per determinare un nodo difficile
da sciogliere.
Ma oggi siamo caduti dalla padella alla brace. Dalle grandi
banche gestite dal potere politico che dava fidi facili ai
camorristi e ai politici di Tangentopoli, siamo passati ad
un sistema creditizio che nel Sud è completamente in mano
alle speculazioni del Nord. Di fronte a questa situazione
nessuno ha mosso finora un dito. Oggi si ritorna a parlare
del problema, ma solo perché qualcuno vuole farsi un poco
di propaganda personale. Tutti i partiti, i sindacati e la
classe politica meridionale sono di fatto complici e
qualcuno avrà pagato il loro silenzio.
Ecco perché fummo soli noi del Movimento Idea Sociale a
chiedere un'indagine parlamentare sul Credito meridionale
e a protestare per giorni sotto la sede centrale di via
Toledo quando anche il più grande e prestigioso Istituto
bancario meridionale: il Banco di Napoli, fu svenduto
all'Imi San Paolo di Torino per una manciata di miliardi
delle vecchie lire.
Raffaele Bruno
di Raffaele Bruno (Vice Segretario Nazionale Vicaro MIS con
Rauti)
Il fenomeno più rilevante della patologia bancaria nel
nostro Paese è rappresentato dalla crisi delle banche
meridionali, che ha riguardato sia i maggiori istituti
pubblici che banche private di ridotte dimensioni, assumendo
vere e proprie caratteristiche di instabilità sistematica.
Questa analisi, che ebbi modo di illustrare nella mia
qualità di Vice Segretario Nazionale Vicario e
responsabile del Dipartimento per le Politiche Meridionali
del Movimento Idea Sociale, in un convegno sul tema :
"Banche e Mezzogiorno", organizzato dal Banco di Napoli
e dall'Unione Industriali della Campania, trova purtroppo
conferma nel numero di provvedimenti di amministrazione
straordinaria e di liquidazione coatta relativi a banche con
sede nelle regioni del Sud.
La ricollocazione della proprietà avvenuta negli ultimi
anni a vantaggio di aziende con sede legale nel Centro Nord
sta avendo effetti devastanti sul tessuto economico e
sociale del Mezzogiorno, poiché le banche gestite da
centri decisionali non locali hanno aumentato la loro
avversione a dare fidi a imprese e a dare una mano chi è
in difficoltà.
Oggi le banche del Sud gestite dal Nord praticano tassi
già di per se da usurai e addirittura di tre quattro punti
superiori a quanto si pratica nelle regioni settentrionali.
Vale a dire che un imprenditore che chiede un aiuto
economico ad una banca, a pari condizioni, paga fino a
cinque punti in più di tasso di interessi rispetto ad un
imprenditore del Centro Nord. Tutte le banche comandate dal
Nord hanno poi il compito specifico di rastrellare i
risparmi dei meridionali per poi investirli nelle regioni
del Centro Nord, con il risultato che il Sud diventa sempre
più povero e gli imprenditori meridionali hanno sempre
meno possibilità di essere aiutati dalle banche.
Certo, fare banca al Sud significa confrontarsi, da un lato,
con una realtà imprenditoriale a più alta rischiosità,
carattere a sua volta originato, a parità di altre
condizioni, dall'incapacità cronica dello Stato e degli
Enti Locali di offrire in modo efficace i beni pubblici
primari: tutela dei diritti della persona e della
proprietà, autentici catalizzatori del lievito
dell'economia di mercato, rappresentato dalla fiducia.
L'assenza della miglior miscela tra regole e
fiduciarappresenta la più grave carenza con cui devono
confrontarsi banche e imprese del Mezzogiorno, e rispetto
alle quali la parte migliore dei ceti produttivi poco può.
Il Mezzogiorno ha patito per decenni i costi economici e
sociali di una sorta di tacito "patto scellerato" che
negli scorsi decenni ha legato il triangolo politica –
impresa – banca nella reciproca protezione delle
rispettive rendite di posizione.
L'intreccio tra politica, banca, impresa, famiglia e
istituzioni di controllo è rimarchevole. In generale, la
grande politica affaristica ha disegnato regole del gioco
che indirizzavano le risorse verso usi pubblici e privati
economicamente improduttivi, ma elettoralmente vantaggiosi.
Tante imprese collegate ad affaristi, malavita e banchieri
senza scrupoli asserviti alla politica traevano vantaggio da
quell'intreccio, che definiva mercati e settori poco
competitivi.
L'inefficacia delle istituzioni pubbliche – tempi e modi
della burocrazia e della giustizia in testa – hanno
completato il quadro, in cui rendite politiche e
professionali hanno finito per determinare un nodo difficile
da sciogliere.
Ma oggi siamo caduti dalla padella alla brace. Dalle grandi
banche gestite dal potere politico che dava fidi facili ai
camorristi e ai politici di Tangentopoli, siamo passati ad
un sistema creditizio che nel Sud è completamente in mano
alle speculazioni del Nord. Di fronte a questa situazione
nessuno ha mosso finora un dito. Oggi si ritorna a parlare
del problema, ma solo perché qualcuno vuole farsi un poco
di propaganda personale. Tutti i partiti, i sindacati e la
classe politica meridionale sono di fatto complici e
qualcuno avrà pagato il loro silenzio.
Ecco perché fummo soli noi del Movimento Idea Sociale a
chiedere un'indagine parlamentare sul Credito meridionale
e a protestare per giorni sotto la sede centrale di via
Toledo quando anche il più grande e prestigioso Istituto
bancario meridionale: il Banco di Napoli, fu svenduto
all'Imi San Paolo di Torino per una manciata di miliardi
delle vecchie lire.
Raffaele Bruno
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