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Vento del Sud Onlus

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INTERVISTA DI RAFFAELE BRUNO A RAI 3









PROTESTA TABELLONI ABUSIVI NAPOLI

5 Gennaio 2008 - p.zza Vanvitelli - Raffaele Bruno



Continua la lotta contro il signoraggio e le banche usuraie

Raffaele Bruno in una delle tante manifestazioni a favore della giustizia sociale e dei diritti dei più deboli

MANIFESTAZIONE CONTRO EQUITALIA POLIS

MANIFESTAZIONE CONTRO EQUITALIA POLIS - TESTIMONIANZE



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GLI SCANDALOSI COSTI DELLA POLITICA ITALIANA

di Raffaele Bruno

Ormai, come ci documenta il libro di Gerardo Mazziotti: “L’assalto alla diligenza”, edito da Denaro Libri, i costi della politica in Italia hanno raggiunto la spaventosa cifra di ben 40 miliardi di euro all’anno. Uno sperpero inaudito di fronte al quale c’era stata una “levata di scudi” e di indignazione dell’opinione pubblica che ha prodotto appena il misero risultato di ridurre gli stipendi dei parlamentari di un ridicolo 10%. Ma successivamente hanno già in parte provveduto a riprenderseli con aumenti vari che si sono essi stessi votati all’unanimità.
Nulla si è fatto, invece per la “foresta degli sperperi” incredibili che esistono a tutti i livelli e di cui abbiamo parlato in precedenti articoli: Quirinale, Uffici di Presidenza Camera e Senato, Corte Costituzionale, Csm, Corte dei Conti. Sprechi e privilegi inauditi che in altri Paesi non sono neanche immaginabili. Nei giorni scorsi abbiamo appreso che le pensioni dei 2.238 ex parlamentari (1377 deputati e 861 senatori) ammontano a qualcosa come 187 milioni di euro, pari a circa 360 miliardi di lire l’anno, cioè un miliardo di lire ogni giorno che Dio manda in terra. E nel leggere l’elenco dei pensionati c’è da restare sbalorditi e indignati. Percepiscono le loro pensioni dorate addirittura due ministri e diciotto sottosegretari del governo Prodi in aggiunta agli stipendi spettanti ai membri dell’Esecutivo. Tanto, a pagare sono i cittadini italiani con le tasse sempre più esose, mentre a morire di fame non sono più soltanto disoccupati e pensionati sociali, ma anche famiglie monoreddito e precari di ogni genere. Ci piace perciò citare il caso del ministro degli Interni Giuliano Amato che cumula lo stipendio di ministro a una pensione di oltre 36 milioni di lire al mese. Cumulo vietato ai comuni cittadini, ma non agli ex parlamentari chiamati (e pagati profumatamente) per fare i sindaci, i presidenti di enti pubblici e gli amministratori di società miste. Pochi esempi tra i tantissimi riportati da giornali nazionali: Claudio Petruccioli percepisce una pensione mensile di 9.387 euro e lo stipendio di presidente della Rai (250.000 euro l’anno); Walter Veltroni e Rosa Iervolino Russo cumulano la pensione di 9.947 euro e lo stipendio di sindaco di Roma e di sindaco di Napoli (ben 243.000 euro l’anno); Francesco Nerli aggiunge allo stipendio annuo di 307.000 euro come presidente dell’Autorità portuale di Napoli la pensione mensile di ex senatore di 4.725 euro; Vittorio Sgarbi (non fa più il deputato ma “l’ospite pagato ed esagitato” in tantissime trasmissioni televisive) percepisce lo stipendio di assessore alla Cultura nella giunta Moratti a Milano e la pensione di 8.455 euro; Nicola Mancino assomma alla pensione mensile di 9.947 euro lo stipendio di vice presidente del Csm; Vincenzo Siniscalchi percepisce ogni mese lo stipendio di membro del Csm e la pensione di ex parlamentare di ben 6.590 euro; Lamberto Dini incassa ogni mese una pensione di 52 milioni di lire e lo stipendio di deputato di 14.500 euro netti. E si potrebbe continuare all’infinito, ma preferiamo accennare agli ex parlamentari che esercitano attività molto redditizie e che, al termine, usufruiranno di altre pensioni. E ai quali perciò, andrebbe tolta. E’ il caso dei giornalisti Scalari, Caparra, Orlando, a Mafai, la Rossanda e dei docenti universitari Galasso, Asor Rosa, Toni Negri (!), Sanguineti, Arbasino e degli avvocati Pisapia, Saponara, Taormina, Rodotà, Ruffolo e dei politici ancora in attività di servizio Marzano (presidente del Cnel), Intini, Dalla Chiesa, Pinza, Manconi (sottosegretari al Governo Prodi) tutta gente che non ha certo bisogno della pensione di ex parlamentare per vivere. E molto bene. Nessuno osa minimamente pensare di togliere o anche ridurre la pensione a personalità politiche che non hanno pensato ad arricchirsi e che sono perciò privi di altri redditi. Ma togliere ai miliardari Franco Zeffirelli, Susanna Agnelli, Luciano Benetton, Pasquale Squitieri, Chicco Testa e a quanti si trovano in condizioni analoghe ci sembra il meno che si possa fare.
Il nostro ruolo di militanti social popolari deve anche essere quello di denunciare gli sprechi di regime. Magari prendendo di mira anche singoli personaggi e invitandoli a restituire il maltolto. E’ vergognoso, infatti, dovere assistere a gente che guadagna tanto grazie a privilegi assurdi, mentre sempre più famiglie italiane finiscono sotto la soglia di povertà e non riescono ad arrivare alla fine del mese.


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"L'IDENTITA' SOCIALPOPOLARE: RAGIONI E PROSPETTIVE DI UNA BATTAGLIA TUTTA DA COMBATTERE"! di Raffaele Bruno

I conflitti politici sono oggi scaduti a rango puramente spettacolari. I confronti, sia tra uomini che tra le linee direttrici delle idee, della condizione del vivere sociale e della concezione dell'uomo, del mondo e dello Stato, non si producono spesso su contenuti reali, ma si limitano alla facciata e al "trucco estetico".
I rappresentanti del popolo sono solo preoccupati di bene apparire. Parlano forse molto, ma dicono poco, generalmente niente. Né sono preparati sul programma da difendere, tanto non serve, poiché forse nessuno gliene chiederà mai conto. Se si ascolta un esponente di centrodestra o di centrosinistra in televisione in campagna elettorale, si fa fatica a distinguere le loro appartenenze partitiche, tanto è l'omologazione e l'appiattimento esistente. Sicché i portatori del nuovo, a sinistra come a destra, sono quasi sempre degli ideologi isterici, vuoti, incartapecoriti, lasciati indietro dalla realtà , che è complessa e con problemi nuovi ed epocali da affrontare.
Noi crediamo che sia giunta l'ora di spezzare questa demenziale spirale e di rimboccarci le maniche. Lo si può fare in un modo nuovo di intendere la politica, inserendo "idee-forza" nel fango del pensiero debole e sempre più globale", ricorrendo al buon senso e alla lucidità, interessandoci oculatamente e con serietà e impegno dei problemi che ci toccano da vicino.
L'identità socialpopolare è già delineata attraverso i suoi punti cardini della visione etica dello Stato, con l'intento di realizzare uno Stato nazionale del Lavoro che si basi sulla partecipazione sociale e corporativa e sulle relative rappresentanze politiche e la sua amministrazione. Difendendo la dignità del lavoratore, contro le privatizzazioni selvagge dei servizi essenziali che devono rimanere sotto il controllo dello Stato, difendendo i valori dello spirito e della Tradizione dei valori. Poiché le radici profonde non gelano mai. Vogliamo, inoltre, apportare sostanziali correttivi legislativi in termini sociali dell'economia capitalistica di mercato, la conseguente retrocessione ulteriore e l'emarginazione definitiva delle economie deboli che caratterizzano taluni aree del nostro Paese, in particolare il Mezzogiorno.
Dall'ansia della ricerca di rinsaldare e rendere patrimonio comune la linea politica socialpopolare per uscire dal capitalismo selvaggio e dalla spirale che vorrebbe ridurre (come abbiamo spesso detto) il mondo solamente ad un supermercato in cui l'uomo viva soltanto per produrre e consumare e per combattere quello che definiamo il sistema sociale a "doppio binario", come esiste drammaticamente in America. Basta qui ricordare appena le conseguenze dell'applicazione della cosiddetta deroga "di soglia" all'articolo 18, la realizzazione di una medicina privata (di tipo assicurativo) da affiancare al Servizio Sanitario Nazionale), proposta che emerge ricorrentemente, l'incentivazione del sistema scolastico ed universitario privato a discapito di quello pubblico. Più in generale, insomma, si ha la sensazione (o la certezza) che con l'appannarsi della sensibilità riformista nelle classi politiche sono le ragioni della contabilità a dominare il campo e, nello specifico, a rimodellare quello Stato sociale che rischia di scomparire del tutto se non lo si difende con i denti.
Nelle regioni del Sud d'Italia le condizioni di partenza dello stato sociale (oggi detto welfare) accusano pesantissimi ritardi rispetto al resto del Paese, stimato nell'ordine del 45 - 50 per cento della spesa sociale, pari a 170 euro pro - capite, restando inferiore al valore nazionale di quattro punti. Non solo, ma la quota di spesa sociale risulta in relazione inversa rispetto alla capacità fiscale dei singoli comuni, così come emerge da una recente indagine del Cer Centro Europeo di Ricerca). In particolare, il 72 per cento della popolazione meridionale risiede in comuni a capacità "bassa" o "molto bassa" del livello di qualità della vita e solo il 4 per cento in quelli a capacità medio alta. Non è dunque un pessimismo di facciata ritenere che i valori della marginalità sociale delle aree più deboli, dal punto di vista dell'imposizione fiscale, possono ulteriormente ampliarsi nel corso di una interpretazione non solidale del progetto federalista, da molti ancora sottovalutato nelle sue conseguenze sul piano dello sviluppo e della modernizzazione della nostra società. La radicale modifica del Titolo V della Costituzione, che ribalta la potestà legislativa dello Stato a favore delle Regioni, produrrà conseguenze a cascata sull'organizzazione dei principali servizi sociali (altre che sull'organizzazione della produzione e del territorio).
Le prospettive per l'affermarsi nella società delle ragioni social popolari consistono anche nella volontà di riconoscere la potenzialità che il Mezzogiorno può avere quale "riserva strategica" per l'alternativa all'attuale modello politico e culturale, che è da definirsi "modello perverso".
Il Mezzogiorno, di cui lo scrivente si occupa particolarmente, seguendo le vicende da giornalista e combattendo ogni giorno in piazza la battaglia per la dignità della sua gente da militante socialpopolare, è oggi minacciato da gravissimi processi di "omologazione" volto a sovvertire i tanti valori che ancora e nonostante tutto (e tutti) resistono in termini di usi, costumi e tradizioni per giungere - da parte del mondialismo e del liberal-capitalismo - a nuovi modelli comportamentali e a scelte di consumo funzionali al ruolo gregario e subalterno del Mezzogiorno come area di mercato dipendente delle multinazionali, da quelle del sistema capitalistico ed alto-finanziario.
Partendo dalla nostra concezione organica della vita, dalle vocazioni territoriali, dalla storia e dalla cultura tradizionale di queste nostre terre, come dalle condizioni socio-economiche - occorre, invece, rilanciare una politica chiara e coraggiosa che sia di stimolo per chi vuole combattere contrapponendosi alla presenza assistenziale e clientelare del regime e per spazzare via il ciclo tuttora vigente nelle regioni meridionali dal sistema partitocratico corrotto: emergenza - assistenza - consenso.
C'è tanto da fare, insomma, per opporre una reale politica di presenza, di informazione e di denuncia che possa limitare in misura apprezzabile lo squallido "voto di scambio" clientelare, ancora esistente in molte zone del Sud. C'è tanto da fare anche per il recupero della dignità meridionale (al di là di qualsiasi piagnisteo dei meridionalisti di mestiere e da salotto e dall'assistenzialismo fine a se stesso) per riaccendere le speranze spente nella lunga attesa di rientro dal degrado e dall'emarginazione. Anche sulla scia della scoperta, la tutela, la valorizzazione e la promozione della identità locale del Mezzogiorno, affinché sia posto nelle condizioni di poter competere in moltissimi segmenti significativi con la globalizzazione in atto. Una identità dalle molte facce, dalle molte potenzialità: dalla cultura alle tradizioni popolari, ai beni artistici, storici, architettonici ed ambientali, al turismo, alla pesca, all'agricoltura, all'agrindustria, all'artigianato, al commercio, ai servizi ed altri settori.
Per la sua posizione strategica, il Sud, anche per il suo rapporto armonico con il mare, potrebbe avere, se si saprà dotare di dinamismo nelle sue istituzioni economiche e dirigenziali, la sua grande occasione di rilancio nell'ambito del Mediterraneo. Le novità introdotte dalle recenti leggi di modifica costituzionale offrono agli organi di governo delle Regioni una certa autonomia politica nel campo dei rapporti internazionali e transnazionali, ma tutto ciò non potrà bastare da solo. Occorrerà realizzare una burocrazia colta ed efficiente ed una classe politica capace di dotarsi di strumenti di analisi sofisticate e di competenze diplomatiche qualificate. Ma prima bisogna realizzare le infrastrutture adatte al processo di ripresa, abbattere la burocrazia asfissiante, investire in sicurezza e giustizia, incoraggiare l'impresa ad investire nel Mezzogiorno attraverso incentivo e sgravi fiscali per chi da lavoro ai disoccupati che sono quattro volte quelli esistenti nel Centro nord.
Un'intellighenzia autenticamente interessata a sperimentare l'incontro con realtà diverse e consapevoli nel volere promuovere relazioni privilegiate con i Paesi in via di sviluppo di tutto il Mediterraneo attraverso l'istituzione di quel Mercato comune che già abbiamo proposto in diversi convegni e delineato nel suo progetto complessivo.
La promozione di un'area di libero scambio mediterraneo potrebbe produrre vantaggi autentici se il Mezzogiorno saprà trasformarsi in uno spazio economico integrato in tutte le sue funzioni, embrione di una vera e propria comunità sociale e politica. La soluzione dei problemi, quelli dell'inera Italia e del suo Sud, tornano nelle mani di chi come noi si predica l'ingresso delle competenze nelle scelte politiche, anche attraverso la restituzione al Sud di quanto gli appartiene di diritto in termini di ruolo, di economia, di socialità e d' identità culturale, di rispetto delle specificità, di solidarismo comunitario e d'integrazione nazionale (ed europea) che è l'esatto contrario come dell'attuale sua "subalternità", così come della sua "omologazione".
Questo potrebbe essere uno dei campi nei quali potremmo darci nuove tensioni ideali, nuove motivazioni di battaglia politica, nuovi grandi e affascinanti impegni, nuove ragioni e prospettive politiche. A partire proprio dalla qualità e dall'intensità della nostra presenza nel Mezzogiorno che può rappresentare una "riserva strategica" di impegno per rinsaldare la nostra area nazionale, popolare e sociale.