di Raffaele Bruno
Forse la minestra maritata è il più antico cibo dei
meridionali ed in particolare dei campani. Certamente
appartiene ad un mondo profondamente povero e viscerale; una
maniera occasionale (allora) di mangiare qualche cosa.
Quando apparve la minestra maritata, molto prima della
dominazione spagnola a Napoli, ossia prima del Seicento,
quando effettivamente molti nostri gusti cambiarono, la
plebe non aveva regole nel mangiare.
Nella pentola sospesa sotto le travi con una catena
immergeva a scaldare quel che trovava; un poco come fanno
gli animali affamati e abbandonati, i cani, le galline, gli
uccelli. Tutto era (doveva essere) commestibile, buono,
saporito. Altrimenti era la fame nera. Impenitenti
mangiatori di carne di maiale - l'animale commestibile
principe di quei tempi - semicruda oappena bollita - il
famoso "pere é o musso", che si vende ancora per le strade
dimolte città meridionali - appena appena condita con
spruzzate di limone e sale gittato da un corno
contromalocchio, i brandelli di carne della minestra
maritata era una leccornìa. Piatto eminentemente plebeo, e
più tardi di feste domenicali, ma stabilmente di "bettole"
e "cantine" come quella famosa del Cerriglio della Napoli
del Settecento, la minestra maritata riassumeva in se, in
quel tempo, i gustimangerecci popolani.... Un cavaliere
errante o di battaglia scendeva alla Cantina per mangiare.
Che cosa gli offrivano? La minestra maritata, un piatto
caldo per riprendere salute, fiato, coraggio, per sentire
rinascere in seno lo "spirto guerriero", come racconta
Salvator Rosa.
Oggi la minestra maritata è rara; ma è un piatto
ricercato dagli snobs e dalle gente sazia di tutte le
esperienze mangiatorie. A sentire certi specialisti antichi
e moderni la minestra maritata aveva forza di medicina.
Riscaldava il petto. Schiariva le idee. Faceva passare, il
suo gran bollore, mali di testa e catarri. Piatto unico per
eccellenza, aveva bisogno di lunghissima preparazione, e di
lunghissima cottura, di estro culinario e di perfezione
portati al massimo. Ma, a pensarci bene, anche questo
piatto, contrariamente a quanto alcuni esperti sostengono
che sarebbe stato introdotto nella cucina meridionale dagli
spagnoli, ricavandola dalla famosa "olla podrida",
appartiene al filone di ciò che è chiamato in gergo
cucina - antropologica, come la pizza, che o riproduce il
golfo di Napoli persino nei colori.
Non dimentichiamoche i Settentrionali i napoletani li
chiamavano mangiafoglie. E la minestra maritata prima di
ogni altra cosa è una minestra di verdura; la verdura di
cui ha sempre abbondato Napoli e la Campania e che allora si
mangiava per intero, senza scarto alcuno. L'aggiunta dei
pezzetti di carne anche è moltonapoletano. La fettina è
un portato deinostri giorni consumistici, ma fino a qualche
tempo fa, anche nella nostra borghesia solo un malato grave
aveva il premio di una fettina di carne arrosto. Ma vi èun
altro particolare indicativo della napoletanità della
minestra maritata.
Ai napoletani sono sempre piaciuti i cibi mescolati,
l'insieme di tante cose, perchè amanti di essenze e di
sapori diversi, si può dire in una stessa cucchiaiata.
Ora, in gran parte, della minestra maritata se ne è
perduto il gusto. In tempo di diete e di mito della creatura
magra, gonfiarsi e ingrassarsi, mangiando una minestra
maritata, è repellente. Ciononostante chi avesse la
vaghezza di gustarla, se si mette pazientemente in giro per
trattorie e rarissime cantine a Napoli o nelle zone
limitrofe note per cucina, finisce per trovarla. E' grassa,
lascia le labbra sporche di un sapore ineffabile. La
minestra maritata è un intruglio di erbe varie, ossi di
porco e brandelli di carne scelta. Ma è di un sapore unico
al mondo. Va annaquata con un vino rosso. Un Gragnano è
l'ideale.
Raffaele Bruno
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